La sosta ed il suolo urbano

La diffusione della motorizzazione di massa ha portato al consistente parco veicoli attualmente presente in tutti i paesi ad economia avanzata. Il dato per l’Italia (2011) è di 607 autoveicoli ogni 1000 abitanti, per un totale di 36,5 milioni di autovetture (esclusi dunque veicoli industriali, autobus, ecc.). Poiché ogni autovettura occupa circa 6 mq netti di suolo, nel suo insieme il parco autovetture occupa quasi 220 kmq. Considerando poi lo spazio libero minimo che deve essere lasciato attorno a ciascun veicolo per garantirne l’accessibilità e la manovra, tale area diventa almeno il doppio.

Inoltre, come è noto, i veicoli non sono distribuiti uniformemente sul territorio, ma sono concentrati nelle aree urbane, laddove lo spazio disponibile è ridotto ed il valore del suolo è più elevato. In alcune di queste aree il suolo pubblico, rappresentato per lo più da strade e piazze, non è in grado di sopportare l’intensa occupazione derivante dalla sosta veicolare, in quanto – al di là di ogni altra considerazione di tipo estetico o ambientale – le sedi stradali, occupate dai veicoli in sosta, vengono sottratte alle esigenze della mobilità, e le stesse manovre di sosta possono costituire un intralcio alla fluidità del traffico, con ripercussioni di tipo economico (spreco di carburante e deterioramento dei motori) ed ambientale (inquinamento atmosferico ed acustico).

In quest’articolo e nel successivo vengono esaminate le interazioni tra le esigenze dei veicoli in sosta e l’uso del suolo urbano (sia pubblico che privato). Già dal 1968 (legge n. 765/1967 e DM n. 1444/1968) tutte le nuove costruzioni, sia residenziali che non residenziali, devono essere dotate di adeguati spazi per la sosta, ricavati sul suolo, sul soprasuolo o nel sottosuolo delle aree ad esse destinate. Poiché l’acquisizione dei suoli nelle aree urbane ha un certo costo, è in genere conveniente realizzare gli spazi per la sosta nel sottosuolo dei nuovi edifici o, nel caso in cui si tratti di infrastrutture di notevole complessità (un’industria, un ospedale, un centro commerciale o un aeroporto) all’interno di parcheggi multipiano.

La pianificazione dell’uso del suolo nelle aree di nuova urbanizzazione comporta la destinazione di ampi spazi alle esigenze della circolazione e della sosta, con un uso estensivo del suolo per tali finalità, come ben evidenziato nella foto

Intensa occupazione del suolo urbano da parte di veicoli in sosta sulle strisce blu (o anche in posizione irregolare) nel centro storico di Ferrara.

La sosta all’interno di aree private può essere riservata o ad uso pubblico: anche nell’ambito della realizzazione di un edificio residenziale, oltre ai box (o posti auto) riservati ai proprietari (ai quali spetta ogni decisione in merito a chi può parcheggiare nello spazio di loro proprietà), vanno previsti posti auto di uso pubblico, destinati a visitatori, ospiti, ecc. La stessa cosa può valere per il parcheggio di un ospedale, con posti auto riservati al personale ospedaliero, ed altri di uso pubblico (utilizzabili anche da chi non ha come meta l’ospedale).

Nell’ambito del suolo urbano utilizzato in funzione della sosta vanno inoltre incluse le aree occupate dai parcheggi di pertinenza di infrastrutture (come appunto un ospedale o un aeroporto), anche qualora siano realizzate su suolo di proprietà pubblica.

Nella realtà delle città italiane, nei centri storici e nelle aree pericentrali – aree urbanizzate prima del 1967 – quasi tutti gli edifici sono dotati solo in minima parte di aree private per la sosta. Va inoltre considerato che – a causa dell’abusivismo edilizio e del mancato rispetto delle norme – anche in aree di più recente urbanizzazione possono non essere presenti sufficienti spazi per la sosta in aree private.

La modalità più diffusa di sosta su aree pubbliche è rappresentata dalla sosta su strada (nelle sedi stradali o nelle piazze): più volte è stato osservato come non si tratti di un sistema che da solo possa risolvere tutti i problemi della sosta, quali si presentano nei centri storici e nelle fasce pericentrali delle nostre città. Può esserlo solo nei quartieri di nuova o recente urbanizzazione, sempre che siano rispettate le leggi urbanistiche ed i piani regolatori. In queste zone infatti le esigenze della circolazione e della sosta sono già considerate come elemento essenziale nell’ambito del planning, mentre nelle aree storiche la sosta su strada, anche se regolamentata, comporta comunque alcuni effetti negativi che vogliamo qui sinteticamente richiamare.

Anzitutto vi è l’impatto visivo ed ambientale che entra in conflitto con la dimensione storica, architettonica e monumentale, e dunque con l’atmosfera che caratterizza i centri urbani della maggior parte delle città italiane: la fruibilità, anche turistica, di questi luoghi è compromessa dalla presenza di veicoli in sosta.

Esempio di occupazione indebita del suolo da parte dei veicoli: auto in sosta irregolare, con notevole impatto visivo su un bene monumentale.

Roma: sgradevoli effetti di occupazione del suolo pubblico in strade in cui la sosta non è regolamentata, pur in una zona non centrale.

In secondo luogo, l’accessibilità agli spazi di sosta implica necessariamente la circolazione nelle strade o nelle piazze in cui gli stessi sono ubicati ed in quelle adiacenti, ed un conseguente inquinamento atmosferico che a lungo termine (soprattutto nel caso di strade strette e poco ventilate) sporca, attacca e degrada i materiali stessi con i quali sono costruiti importanti edifici di valore storico ed artistico: basti vedere gli effetti del traffico nell’ampio centro storico di Roma. Questo inconveniente potrebbe essere eliminato consentendo l’accesso alle aree da proteggere solo a veicoli a trazione elettrica o con motore ad idrogeno, con particolare attenzione verso i mezzi di trasporto pubblico.

Si deve poi considerare quanto la presenza di auto in sosta nelle strade (spesso di ridotte dimensioni) dei centri storici riduca sensibilmente lo spazio della carreggiata, ostacolando la circolazione dei veicoli e soprattutto quella dei mezzi di trasporto pubblico.

Infine, laddove vi sia una forte domanda di sosta residenziale priva di alternative all’uso del suolo pubblico, si ha un’occupazione permanente o costante di determinati spazi. Infatti, per motivi di opportunità politica, i permessi di sosta sono quasi sempre concessi ai residenti gratuitamente o al costo di poche decine di euro l’anno, e consentono ai titolari di sostare negli spazi ad essi riservati (per tutto l’arco delle 24 ore), e non di rado anche negli spazi dove la sosta pubblica è a pagamento.
Si può così determinare un’occupazione intensiva degli spazi disponibili per la sosta su strada a pagamento da parte della sosta residenziale. Per ovviare a tale inconveniente, i permessi di sosta residenziale gratuiti o semigratuiti dovrebbero essere limitati ad un solo veicolo per famiglia, prevedendo eventuali forme di abbonamento agevolato (mensile o annuale) per gli altri veicoli di proprietà dei residenti. Inoltre, come vedremo in seguito, i proventi della sosta su strada potrebbero essere impiegati anche per la realizzazione di parcheggi con posti auto o box da cedere ai residenti (eventualmente a prezzo calmierato).

Regolamentazione della sosta su suolo pubblico: gran parte del territorio di Firenze rientra nella ZCS (zona a controllo di sosta), suddivisa in varie sottozone. Tutto il centro (Q1) è ZTL, suddivisa nei settori A e B (Comune di Firenze).

La sosta come «servizio» e non come «tassa»

È opportuno valutare come debba essere considerata la sosta su suolo pubblico: per molto tempo essa è stata implicitamente considerata come un diritto del cittadino proprietario di un veicolo, così come si considera un diritto il poter circolare sulla rete viaria pubblica (fatta eccezione per le autostrade a pedaggio). I problemi causati dall’uso intensivo del suolo pubblico da parte dei veicoli in sosta hanno indotto sia il legislatore che gli amministratori a valutare diversamente la sosta su strada, senza che la questione sia mai stata ben chiarita sotto il profilo del diritto: si tratta piuttosto di una soluzione imposta dall’emergenza.

La sosta a pagamento è stata introdotta infatti dall’art. 7 del nuovo Codice della strada (decr. legisl. n. 285/1992), che al comma 1, lett. f), stabilisce che «nei centri abitati i comuni possono, con ordinanza del sindaco… stabilire, previa deliberazione della giunta, aree destinate al parcheggio sulle quali la sosta dei veicoli è subordinata al pagamento di una somma da riscuotere mediante dispositivi di controllo di durata della sosta…».

La norma prevede dunque la facoltà di modificare, con un’ordinanza, la preesistente situazione di sosta gratuita, eventualmente nell’ambito di nuove aree da destinare a parcheggio. Tale impressione è confermata dal successivo comma 8, in base al quale «qualora il comune assuma l’esercizio diretto del parcheggio con custodia o lo dia in concessione ovvero disponga l’installazione dei dispositivi di controllo di durata della sosta… su parte della stessa area o su altra parte nelle immediate vicinanze, deve riservare una adeguata area destinata a parcheggio rispettivamente senza custodia o senza dispositivi di controllo di durata della sosta. Tale obbligo non sussiste per le zone definite a norma dell’art. 3 «area pedonale» e «zona a traffico limitato»… e in altre zone di particolare rilevanza urbanistica… nelle quali sussistano esigenze e condizioni particolari di traffico».

Sul piano della prassi, si deve tener conto delle ragioni incontestabili per le quali la sosta su suolo pubblico (ed in primo luogo la sosta su strada) deve essere necessariamente regolamentata. È tuttavia opportuno chiarire che la regolamentazione a pagamento della sosta, così come stabilita dalla legge, riveste il carattere di un «servizio» offerto agli utenti, e non quello di una «tassa» per l’occupazione del suolo pubblico. Si tratta di una questione importante, concernente anche l’uso dei proventi della sosta su strada, che raramente viene affrontata con l’approfondimento che meriterebbe.

Il carattere di «servizio» della sosta su suolo pubblico è stabilito, come abbiamo più volte sottolineato, dal comma 7 del citato art. 7, per il quale «i proventi dei parcheggi a pagamento, in quanto spettanti agli enti proprietari della strada, sono destinati alla installazione, costruzione e gestione di parcheggi in superficie, sopraelevati o sotterranei, e al loro miglioramento e le somme eventualmente eccedenti ad interventi per migliorare la mobilità urbana». Il corrispettivo pagato viene dunque giustificato in funzione del miglioramento del «servizio» stesso. Va ricordato infatti che quando viene pagato il biglietto per la corsa su un mezzo di trasporto pubblico da parte di chi usufruisce di tale servizio, il prezzo copre solo una parte dei costi gestionali, mentre la quota non coperta resta a carico del «pubblico», proprio in considerazione del carattere di servizio di pubblica utilità (e non di attività di impresa con fine di lucro) che identifica il trasporto pubblico. La richiesta del pagamento del biglietto della corsa all’utente si giustifica con l’esigenza di far partecipare in modo più consistente agli oneri gestionali del servizio i cittadini che beneficiano dello stesso, lasciando a carico di tutta la collettività solo una quota dei costi.

laddove il suolo urbano è un bene di elevato valore, si impone l’uso del volume per moltiplicare la superficie disponibile per la sosta, come dimostra questo gigantesco autosilo nel centro di Chicago.

l’unica soluzione efficace per ottimizzare l’uso del suolo urbano in funzione delle esigenze di sosta è data dai parcheggi multipiano, come questo «Park and Ride» a Monaco di Baviera.

Nel caso della sosta su strada, se gli introiti non sono utilizzati per le finalità stabilite dal comma 7 (come purtroppo spesso accade), non viene offerto nessun servizio oneroso a fronte dell’importo pagato dall’utente della sosta. Il fatto che la tariffazione della sosta assicuri una maggiore rotazione dei veicoli e dunque un incremento della possibilità di trovare un posto libero (non sempre) è una logica conseguenza della regolamentazione a pagamento (l’utente fa il possibile per minimizzarne l’importo), ma non può essere considerato come un vero «servizio», dato che nulla di nuovo viene aggiunto in termini di offerta di sosta, a fronte dei consistenti utili prodotti dalla tariffazione della sosta su strada.
Se gli introiti derivanti dalla sosta su strada non vengono reinvestiti nella realizzazione di nuove e più efficienti infrastrutture per la sosta (tra cui anche parcheggi per residenti da cedere eventualmente a prezzo calmierato), come previsto dal comma 7, essi vengono considerati dalle pubbliche amministrazioni alla stregua di una «tassa» sull’occupazione del suolo pubblico, cosa che la legge non consente.

Le zone di regolamentazione della sosta nel centro storico e nelle aree pericentrali di Modena, con i parcheggi di destinazione e la rete di parcheggi scambiatori (Comune di Modena).

L’utilizzazione del suolo urbano

Dato che il suolo è un bene del quale (al pari di altri) può esservi abbondanza o scarsità, laddove è reperibile in abbondanza il suo valore economico è basso, mentre è alto dove la disponibilità è scarsa in relazione alla domanda.

Nelle metropoli di tutto il mondo si osserva che l’altezza media degli edifici aumenta man mano che dalla periferia ci si sposta verso il centro urbano (o verso il quartiere degli affari). Nelle città situate nella parte centrale degli Stati Uniti, laddove vi è ampia disponibilità di spazio, la modalità di costruzione tipica delle case residenziali è ancora quella dell’edificio monopiano, dotato di giardino e servito da una viabilità di accesso pianificata per le auto. Per tali ragioni, qualsiasi nuovo quartiere urbano occupa una superficie molto elevata in relazione al numero di residenti che vi dimorano.

Lo sviluppo storico delle nazioni europee ha imposto invece già da secoli un uso intensivo del suolo urbano, che non consente se non in casi particolari la realizzazione di edifici residenziali monopiano. La tipologia di abitazione più diffusa resta quella dell’appartamento all’interno di edifici di tre o più piani.
Quanto vale in relazione alle esigenze dell’uso del suolo urbano per gli esseri umani, vale anche per i veicoli: laddove non vi sia abbondanza di suolo, pubblico o privato che sia, conviene trasformare l’«area» in «volume», moltiplicando così la superficie per il numero di livelli in cui il volume può essere suddiviso. Questa è, tutt’oggi, l’unica soluzione efficace per supplire ad una determinata domanda di spazio senza doverla comprimere oltre certi limiti.

L’uso del suolo urbano può essere anche pianificato in funzione «car free», purché in presenza di efficienti servizi di trasporto pubblico: il quartiere Vauban, nei pressi di Friburgo.

Per quanto riguarda gli autoveicoli, questa soluzione è costituita dal parcheggio multipiano, il quale non è altro che un edificio che trasforma una data superficie di suolo urbano in un volume all’interno del quale sono presenti più piani di parcamento. La proprietà pubblica o privata dell’area in cui il parcheggio è realizzato ha un’importanza relativa: l’aspetto prioritario è che viene comunque ridotta l’area occupata dal parco autoveicoli. Ricordando, come si è detto, che una certa superficie è inevitabilmente occupata da ciascun veicolo, sia che circoli, sia che stia fermo, le uniche due variabili che possono essere prese in considerazione per migliorare una situazione critica di occupazione dello spazio per la sosta sono:
1.la trasformazione dello spazio in volume;
2.la pianificazione dell’ubicazione degli spazi (o dei volumi).

Come accade per i box residenziali negli edifici di nuova costruzione, è evidente che non viene occupato nuovo suolo (ma solo volume) se i box o i posti auto sono realizzati come piani di un edificio, a livello terreno o nel sottosuolo: qualsiasi altra realizzazione comporta l’occupazione di suolo, e dunque la sua utilità va valutata in relazione alle possibili destinazioni di tale suolo, ed alla pianificazione generale degli spazi per la sosta. Bisogna infatti tener presente che, nel loro complesso, le aree destinate alla sosta impegnano una superficie nettamente superiore a quella occupata dal parco autoveicoli «a fermo» (quantificata – come si è detto – in circa 400 kmq) a causa della natura stessa del veicolo come strumento di mobilità. Per tale ragione, nel momento in cui un veicolo si sposta dallo spazio di sosta nel luogo A verso il luogo B, non è detto che lo spazio di sosta A venga occupato immediatamente o nel breve termine da un altro veicolo (così come non è detto che nel luogo B il veicolo trovi rapidamente uno spazio per la sosta).

Questa considerazione è tanto più vera per i box privati, i quali – nel momento in cui vengono lasciati liberi da un certo veicolo – restano in genere «vuoti» fino a quando lo stesso veicolo non vi fa ritorno. Dunque lo spazio complessivo disponibile per la sosta (in un parcheggio, in una certa area, in una città o in una regione) va diviso tra spazio occupato e spazio non occupato, e poiché anche quest’ultimo non è disponibile per altri usi, l’ottimizzazione del rapporto tra spazio occupato e spazio complessivo disponibile (somma dello spazio occupato e dello spazio non occupato) è fondamentale per la corretta pianificazione della sosta urbana, ed è anche uno degli obiettivi di un buon Piano della sosta.
In un prossimo articolo vedremo come può essere pianificato in modo corretto un sistema di sosta urbana, tenendo conto del valore del suolo e dell’esigenza di ottimizzarne l’uso.

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